Jennu Brigannu.
Storie di briganti calabresi

di Vincenza Costantino

con
Manolo Muoio e Ernesto Orrico
musiche eseguite dal vivo da Paolo Napoli
audio e luci Antonio Giocondo
organizzazione Alessandra Fucilla


Due uomini, due sedie. Sullo sfondo potrebbe esserci una porta, la porta di una bottega in cui si vende vino (in una qualsiasi strada di paese). I due stanno davanti a questa porta immaginaria, e parlano di un tema a caduta libera: il brigantaggio. Ne parlano dispiegando le loro conoscenze e con i modi di cui sono capaci, ne parlano mischiando la Grande Storia dell’Unità d’Italia con le storie riportate da testimonianze inedite o inventate, intrecciando cronache agiografiche, calunnie, leggende, materiali fotografici e documentari e un po’ di spensierato “sentito dire”. Il testo è una polifonia che tiene in conto sia le voci contro e sia quelle a favore del brigantaggio, con l’obiettivo di svelare i limiti presenti in una lettura manichea del fenomeno. I briganti non erano solo farabutti ma neanche solo eroi da leggenda, erano innanzitutto uomini che avevano scelto, o erano stati costretti a scegliere, di stare fuori della legge e dalla cosiddetta comunità civile, pagandone poi il prezzo più alto. Accanto a storie note e divenute parte della cultura popolare, ci sono storie di tanti senza nome, che si sono fatti briganti per seguire un sogno, un ideale, per una vendetta, un motivo d’onore, o solo per sfuggire la fame. Il racconto dispiega così una storia frammentata e contraddittoria, che si sviluppa parallelamente a quella ufficiale e alle vicende della Calabria contemporanea. Il dialogo fra passato e presente è continuo, la cronologia netta degli eventi cede il passo alla poesia, i documenti storici sconfinano nei deliri e nei sogni di chi il brigantaggio l’ha vissuto per interposta persona, senza agire, senza scegliere, ma continuando a raccontarlo, in qualche maniera, a cantarlo. Lo stile della recitazione è semplice, privo di artifici, tutto si basa sulla parola, sulla capacità degli attori di dare corpo e voce a piccoli frammenti narrativi, in un continuo affastellarsi di stili, forme e dialetti, con una voglia di raccontarsi addosso e di togliersi il fiato a ricordare nomi, personaggi, luoghi, storie…

Ernesto Orrico
È uno dei protagonisti di Va pensiero ideato e diretto da Marco Martinelli e Ermanna Montanari per il Teatro delle Albe. Attore negli spettacoli di Scena Verticale Le tre male bestie e U tingiutu. Un Aiace di Calabria. Ha lavorato con Centro RAT, Carro di Tespi, Spazio Teatro, Zahir, Compagnia Ragli, Teatro della Ginestra, Teatro Rossosimona. Ha scritto A Calabria è morta (Round Robin, 2008), Appunti per spettacoli che non si faranno (Coessenza, 2012), The Cult of Fluxus (Edizioni Erranti, 2014) e Talknoise. Poesie imperfette e lacerti di canzone (Edizioni Underground?, 2018).

Manolo Muoio
Dal 1992 esplora le arti performative con numerosi maestri come Judith Malina, Tetsuro Fukuhara, Nikolaj Karpov, Abani Biswas, Eimuntas Nekrosius, Augusto Omolù, Julia Varley, Marylin Fried, Giorgio Rossi, Michele Di Stefano, Maya Lipsker, Vidal Bini. È stato interprete di spettacoli come Sida e l'uomo dal fiore (Premio ETI-Vetrine '96), Piedi Gonfi, È il momento dell'amore (Premio Scenario 2001), di Lindo Nudo; L’Esausto o il profondo azzurro (2008), di Julia Varley; Cerimonia (2011), di Lorenzo Gleijeses; Peer ‘u Stortu di Francesco Suriano (2013).È stato aiuto regia dell’attrice e regista inglese Julia Varley (2005/2006) e del regista e drammaturgo argentino Rafael Spregelburd (2013). Dal 2009 al 2011 ha partecipato alla direzione artistica e organizzativa di Revolution MAD, rassegna di danza e teatro contemporaneo presso il Teatro Quirino di Roma. Del 2016 i due lavori (di cui è autore, regista e unico interprete), Malerba. Appunti per una coltura psichedelica e Rock Oedipus. Attualmente è impegnato come performer nella tournée di Anelante,dei Leoni d’Oro alla carriera 2018, Antonio Rezza e Flavia Mastrella, e come aiuto regia di Eugenio Barba e Julia Varley (Odin Teatret), nel progetto 58° Parallelo Nord.

Paolo Napoli
Musicista calabrese di Alessandria del Carretto, esperto di etnomusicologia, nel 2017 ha pubblicato il saggio “I ritmi della lentezza” all’interno del volume “La musica folk. Storie, protagonisti e documenti del revival in Italia” - a cura di Goffredo Plastino. È uno dei membri dei Totarella con in quali ha inciso 5 album, il più recente è “In utro” del 2014. Ha all'attivo numerose collaborazioni con gruppi musicali e teatrali. Dal 2011 conduce seminari sulla cultura musicale dell’appennino calabro-lucano e stage di musica presso il “Tafanari - La paix demenage” a Colombières sur Orb in Francia. Suona diversi strumenti tra cui organetto diatonico, zampogna a chiave, chitarra battente, vrogna, tamburo a cornice, lira calabrese, surdulina, grancasce, tenawa, friscalettu, zampognelle, flauti popolari.


DATE

 

02 marzo 2019
ore 18.00
Museo del Presente - Rende (CS)
Istituto per gli Studi Storici - Cosenza

24 febbraio 2017
DAM - Università della Calabria, Arcavacata di Rende (CS)

22 febbraio 2017
Hospice - Via delle Stelle, Reggio Calabria

12 agosto 2016
Albidona (Cosenza)

29 luglio 2016
iCappuccini, Belmonte Calabro (Cosenza)

6/7 febbraio 2016
SpazioTeatro, Reggio Calabria

5 febbraio 2016
Teatro della Maruca, Crotone

4 febbraio 2016
Teatrocastro, Amantea (CS)



Galleria fotografica

 

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<< (…) il rimando continuo tra passato e presente (e quello tra dialetto e lingua) che i due attori (Ernesto Orrico e Manolo Muoio) compiono, trasformandosi da briganti che narrano la loro storia o quelle di altri personaggi dell’epoca, in uomini del presente alla ricerca di una identità, diventa il punto attorno al quale si snoda, sul palcoscenico, lo spettacolo: brevi racconti, brevi scene, dialoghi intensi, ricchi ma mai verbosi, danno ritmo e coinvolgimento, così come le straordinarie interpretazioni di Orrico e Muoio, calati dentro i personaggi senza mai soverchiarli, ma incarnandoli con quella completezza e naturalezza che è propria di chi ha costruito negli anni i personaggi stessi.>>

Paola Abenavoli, Cultural Life


<< (…) vecchie vicende sui briganti, dalle più conosciute e leggendarie a quelle meno note, s’intrecciano con la storia dell’Unità d’Italia e con racconti di persone normali e di emigrazioni contemporanee, disegnando una Calabria sempre ferita e alla ricerca di un’identità e che vede molti dei suoi figli andare via, oggi come allora. Varcando i confini cronologici, i racconti e le storie diventano trame di un tessuto frammentario e poetico, amaro e ironico al tempo stesso, che sconfina nel surreale e nel sovrapporsi di stili e lingue diverse. Uno spettacolo emozionante, con una scenografia scarna affidata a due sedie e due fiaschi di vino e qualche accenno nei costumi degli attori. Il lavoro della Costantino, lontano da qualsiasi eco retorico o sentimentale, risulta impegnato ma leggero, mescolando sapientemente grandi e piccole narrazioni, storie corali e personali, fonti storiche e leggende, senza dare giudizi di merito, ma con una (dis)incantata consapevolezza.>>

Marta Veltri, La Voce di New York


<<Orrico e Muoio sono accompagnati dalle musiche di Paolo Napoli, eseguite dal vivo dallo stesso autore, che si alterna sul palco tra diversi strumenti, dalla fisarmonica alla zampogna. E, in quella che diventa, a ragione, una partita a scacchi con la storia, la rappresentazione è un continuo rimando alla realtà calabrese, da sempre accogliente verso invasori e conquistatori, dagli Svevi agli Arabi, ai Borboni. Un destino che passa anche da Peppino Garibaldi, eroe controverso, che in scena è trattato con la giusta misura, secondo noi: una modalità apertamente contestata da un solo spettatore che, borbottando, e fra le risate generali, decide di abbandonare la platea. Un destino che però non risparmia certo i nostri giorni. Giusto, a questo proposito, il richiamo all’attualità, con l’inserimento di nomi e cognomi di politici che, attraverso le inchieste di questi giorni, da Rimborsopoli in poi, si pongono come continuatori di quel destino di distruzione delle speranze di chi è nato in questo lembo d’Italia.>>

Luigi Caputo, Note Verticali


<<Come fondale mobile, composto di elementi in osmotica dinamica verso e dal proscenio, condito di un’endogena capacità abrasiva, Jennu brigannu riproduce voci popolari e situazioni drammatiche sul filo di afflati sincronici, allontanando il pericolo di inglobamento dei piccoli miti nell’orbita dell’esotismo e della vis storicizzante.>>

Natale Filice, prefazione al testo “Jennu brigannu” , Abramo editore




<<Nel testo – come in una Comedia che dell'Inferno ha solo i connotati parossistici – si muovono personaggi storici dai contorni mitologici: da “Re Marcone” Berardi a Giuseppe Musolino da Santo Stefano d'Aspromonte, storie che meriterebbero ciascuna uno “spin off”, un approfondimento teatrale a parte. C'è soprattutto la storia di “Ciccilla”, quella Marianna Oliverio compagna del brigante Pietro Monaco che meriterebbe fortune letterarie degne di compagni “del calibro di Villella>>

Eugenio Furia, Corriere della Calabria


<<La struttura di “Jennu brigannu” è semplice, 2 attori, 2 sedie, luce naturale, qualche accenno nei costumi, una narrazione polifonica, qualche geometria registica. Semplice non sinonimo di naif, piuttosto fruibile, godibile, popolare. Voci sul brigantaggio, senza il padrone del ruolo, della parte determinata, voci d'un meridione, d'una Calabria, ancora alla ricerca della propria identità che si interroga sul passato>>

Emilio Nigro, Il Quotidiano della Calabria


<<Due personaggi in cerca di risposte, amici al bar, pronti a convergere con le opinioni o a discutere, anche con le mani in faccia, sempre davanti ad un bicchiere di vino. Profetizzando “Rivoluzioni” che innestano le radici in quelle storiche precedenti, ma che si perdono in chiacchiere da bancone, facendo salti nella storia recente del Meridione. Ilare, a metà tra narrazione, fatti storici e dicerie popolari si snocciola il racconto della Costantino. Fotografia della Calabria, terra d'emigrati e di briganti. Dialoghi incalzanti, nelle vesti divertenti e divertite, che lasciano nell'anima un grande punto interrogativo, sulla natura del ritardo atavico del Sud d'Italia.>>

Gabriella Lax, Cronache del Garantista



<<Un viaggio che dal racconto di una Calabria «terra traditura», in cui «non ti puoi fidare di nessuno» e la rivoluzione la puoi solo sognare, arriva all'oggi, all'attualità di una nuova politica, di nuovi “traditori” ­ con tanto di nomi e cognomi dei politici calabresi coinvolti in recenti inchieste ­ e vecchie e nuove emigrazioni, desideri di fuga dalla fame in un territorio condannato all'isolamento e ancora oggi voglia di rivalsa e affermazione personale. «Dove sono andati tutti?», chiede uno dei protagonisti. Il riferimento è ai tanti calabresi senza Calabria, costretti a «scegliere il destino di andarsene emigranti o restare briganti». Ieri emarginati che hanno lasciato la Calabria per il Canada o l'Argentina per sfuggire alla povertà, oggi sempre più laureati e professionisti alla ricerca di una identità.>>

Aurelia Arito, Zoom Sud