Lo spettacolo "111" incanta gli spettatori dell'Unical

L'opera teatrale di Emilia Brandi ha ottenuto un grande successo di pubblico e critica nel teatro dell'ateneo

di Franca Ferrami

Riprendono gli spettacoli della stagione MeridianoSud 2018/2019 del Teatro Auditorium Unical[…].

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Il piccolo mondo moderno di "111"

Un dramma familiare in una famiglia qualunque del terzo millennio

di Eugenio Furia

L'uomo medio indossa tuta acetata e mocassini marroni con tacco.[…].

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Tra i "Riflessi e le "confessioni di un masochista"

Riprendono a Cosenza gli spettacoli della stagione "Meridiano Sud"

di Franca Ferrami

Dopo la pausa natalizia riprendono gli spettacoli della stagione Meridiano Sud del Teatro Auditorium Unical.[…].

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Una generosa apertura europea nella diciannovesima edizione di Primavera dei Teatri

di Claudio Facchinelli

Problematici rapporti familiari e invasività informatica punteggiano gli spettacoli del festival […].

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Primavera dei teatri 2018: si fa spazio con Europe Connection la drammaturgia europea in Calabria

di Monica Varrese

Il festival Primavera dei teatri, organizzato a Castrovillari dalla compagnia Scena Verticale e giunto alla diciannovesima edizione, apre le porte all’Europa con il progetto triennale Europe Connection. La drammaturgia europea in Calabria, nato dal partenariato con PAV – Fabulamundi. Playwriting Europe. .

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Da Castrovillari, 111, del drammaturgo di origini polacche Tomasz Man

di Letizia Laezza

Si chiama progetto Europe connection in collaborazione con fabulamundi ed è il presupposto per comprendere l’interesse peculiare dello spettacolo 111.

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L'esordio da regista di Emilia Brandi con lo spettacolo "111"

di Arcangelo Badolati

Un' attrice capace d' interpretare qualsiasi personaggio: eclettica, affabulante, passionale, intelligente..

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I nuovi linguaggi del teatro e la drammaturgia moderna

di Elisabetta Reale

Un’immersione totale nel teatro contemporaneo, vitale, nuovo, energetico, tra nuove poetiche e narrazioni.

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Journal: Tomasz Man in Italy for "111"


Tomasz Man was in Castrovillari for an artistic residence focused on his text “111”, with the Italian company Zahir. On June the text will be presented at the Festival Primavera dei Teatri. Here we publish the journal of the author about his experience.

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Da Castrovillari, 111, del drammaturgo di origini polacche Tomasz Man

di Letizia Laezza
su network lettera 22

Si chiama progetto Europe connection in collaborazione con fabulamundi ed è il presupposto per comprendere l’interesse peculiare dello spettacolo 111.
La prima va in scena il 30 maggio 2018 nel contesto del festival primavera dei teatri di Castrovillari, dopo una lunga e articolata gestazione della pièce.
Con e per la regia di Emilia Brandi, prende forma un testo di Tomasz Man, drammaturgo di origini polacche.
111 è un racconto di difficoltà ed incomprensioni familiari, esasperate all’estremo dramma irreversibile, ma, per quanto ogni nucleo famiglia possa scegliere a quale livello della tragedia fermarsi, ogni individuo appartenete ad un nucleo famiglia può riconoscere in qualche tratto della storia il proprio disagio del non capire e del non riuscire a farsi capire.
Quattro attori aprono lo spettacolo e restano per tutta la sua durata tendenzialmente ai propri posti: ognuno ingessato nel proprio ruolo, mancante di alcuna flessibilità nello spazio e nelle relazioni; ognuno a guardare le cose unicamente dal proprio angolo di palco.
Strumentale la scelta dei costumi, di Rita Zangari, che presenta l’essenza dei singoli e poi del gruppo già nella fotografia iniziale: la madre, interpretata dalla stessa Emilia Brandi, in vestaglia di un convenzionale rosa tenue; il padre, Ernesto Orrico, in tuta celeste, come è giusto che vestano i maschietti, e la figlia, Ada Roncone, nel tepore dell’accappatoio, nell’intimità della sua casa, delle sue cose, tutte sul tavolo intorno a lei, oggetti di una quotidianità personale che vuole offrire al pubblico, dalla sua posizione erta su di un tavolo a centro palco, dove vive, osserva e domina le azioni banali di una qualsiasi famiglia. Provata dall’incomprensione.
Una qualsiasi famiglia occidentale.
Una qualsiasi famiglia che sbaglia suo malgrado, composta di persone magari non cattive ma che non capiscono cosa fare per fare bene.
Al centro delle relazioni, dalla sua prospettiva, la figlia che filtra la vicenda è il simbolo stesso della mediazione dei complicati rapporti fra i genitori e il figlio, Marco Aiello, scenicamente come semanticamente chiuso nella sua tinozza.
La vittima senza nome, l’irrequieto, l’unico che si muove nella stanza ma che pare in gabbia.
Un ragazzo difficile, eppure un creativo; dagli istinti pericolosamente violenti, eppure capace di sviluppare affetti viscerali; un ragazzo che comunica in una maniera tutta personale ma che non è in grado di farsi capire. Un ragazzo che la famiglia non riesce a comprendere, arginare, gestire: ci prova, si sforza, ma poi si esaspera, e poi si esasperano tutti, e si litiga, si corre, si urla, ci si agita, si piange, e mai si risolve nulla.
Immagine emblematica, come tigre allo zoo, il ragazzo si incastra sotto il tavolo della sorella: cerca una via di fuga, ma gli è difficile, come a tutti gli altri.
Le luci di Antonio Giocondo collaborano efficacemente allo scandirsi dei momenti della vicenda; il ritmo della recitazione segue il flusso del racconto con una metrica incessante, tendente alla claustrofobia. Non si sfugge alle faccende della famiglia. È il ritmo della famiglia. È il ritmo di chi crede di fare le cose buone e le ripete fino allo strenuo, fino all’esaurimento delle forze, dell’altro, dei risultati.
Lo spettacolo vuole essere universale come i topoi che lo attraversano; la comunicazione oltre le parole, nell’analisi dell’umano che appartiene a tutti.
Perché non solo la famiglia media italiana o meridionale possa riconoscere le proprie mancanze e difficoltà, ma perché l’intera famiglia europea si ritrovi in un quadro delle dinamiche della famiglia media, perché lo spettacolo tenda all’universale senza snaturare le origini della sua scrittura; per rispettare questi parametri è venuto su lentamente, si è formato, si è scoperto, si è studiato, in un lavoro che ha goduto della consulenza e supervisione di Katia Ippaso, drammaturga e critica.
Scopo del progetto Europe connection – playwriting Europe quello   di creare una rete, di fare contatto, di mettere in comunicazione e quindi a confronto diverse figure di operatori nell’ambito dello spettacolo da tutta Europa. l’Europa come comunità produce arte in tante singole realtà sconosciute fra loro, il che appare limitante sotto diversi aspetti, a partire da quello dello scambio  reciproco.  Così il festival di Castrovillari si fa sede di proposta ed incontro e accoglie un trio di pièce dalle diverse origini: oltre 111, Confessioni di un masochista di Roman Sikora e Extremophile di Alexandra Badea, in un minicircuito che avvicina arte, pubblico ed artisti.

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Una generosa apertura europea nella diciannovesima edizione di Primavera dei Teatri

di Claudio Facchinelli
su corrierespettacolo.it

Problematici rapporti familiari e invasività informatica punteggiano gli spettacoli del festival.
Le proposte della meritoria, intrepida iniziativa calabrese, oltre a fornire un prezioso e aggiornato campione della realtà teatrale italiana (e non soltanto), quest’anno in particolare fanno emergere, come fiumi carsici, alcuni degli attuali temi oggetto di dibattito e discussione nella società civile.

Con Essere bugiardo, prodotto da La Corte ospitale / Proxima res / Premio Riccione, regia di Emiliano Masala, la scrittura di Carlo Guasconi affronta con taglio originale i contradittori nodi affettivi che caratterizzano la famiglia. Lui stesso si ritaglia un ruolo in scena, ma è specialmente Massimiliano Speziani (giustamente gratificato dal premio Hystrio) a modulare, in un delicato equilibrio fra apparente realismo e visioni fantastiche, la faticosa elaborazione di un duplice lutto. Nel ruolo dei due ingombranti fantasmi del figlio e della moglie, più veri del vero, oltre a Carlo Guasconi, lo sostiene una spalla d’eccezione: Mariangela Granelli (ma a quando un meritato riconoscimento a quest’attrice, dotata di una straordinaria sensibilità e duttilità?). In questo surreale triangolo Speziani crea, in quel registro minimalista di cui è maestro, un ponte credibile fra il suo personaggio, dolorosamente reale, e le proiezioni della sua fantasia, con le quali intesse un dialogo fatto anche di finzioni e bugie (forse un richiamo alla “menzogna vitale” di Ibsen), probabilmente raccontando anche a se stesso, prima ancora che ai suoi immaginari interlocutori, un passato che non corrisponde al reale. Da segnalare l’originalità dell’impianto scenografico, che ci mostra gli interni familiari come osservati dal dirimpettaio di un anonimo condominio urbano.

I complessi, a volte aggrovigliati rapporti fra genitori e figli, costituiscono il tema di 111, del polacco Tomasz Man, messo in scena dalla compagnia Brandi Orrico. Il lavoro si inserisce in un progetto di respiro europeo, Europe Connection, ospitato per la prima volta da Primavera dei teatri, in collaborazione con Fabula mundi e Playwriting Europe: una residenza che ha visto lavorare insieme proficuamente l’autore, il traduttore (Francesco Annichiarico) e la compagnia. Con un’impostazione drammaturgica volutamente – quasi provocatoriamente – statica si narra, a quattro voci (Padre, Madre, Figlio e Sorella), l’impossibile sintonia con un figlio, pur atteso e voluto. Sullo sfondo, per contrasto, la presenza dell’ipertrofica, invasiva, illusoria comunicazione digitale, la vicenda, punteggiata di delusioni, durezze, frustrazioni, incomprensioni, giunge inevitabilmente alla cruenta, annunciata tragedia finale.

Allo stesso progetto Europe Connection partecipava il meno lineare Confessioni di un masochista, del praghese Roman Sikora, prodotto da Rossosimona, dove sfugge il dichiarato assunto satirico antigovernativo, soffocato da un’amplificazione sonora multipla, da una cifra recitativa non sempre convincente, spesso sopra le righe.

Ancora meno convincente il terzo titolo del progetto, l’ipertrofico Extremophile, della drammaturga rumena naturalizzata francese Alexandra Bandea, sul quale l’ufficio stampa del festival ha ritenuto doveroso, nei confronti dell’autrice, avvisare che il testo della Badea, messo in scena da Saverio Tavano, è stato modificato sostanzialmente dal regista senza il consenso dell’autrice. A questo proposito sarebbe forse opportuna una riflessione sull’autonomia del regista rispetto all’autore, specie se vivente e contemporaneo. Ma non è questa la sede.

Fra le cose interessanti viste a Castrovillari, c’è sicuramente Amleto Take away, della Compagnia Berardi Casolari. Il riferimento shakespeariano, come illustrato dallo stesso Berardi nella spiritosa, scoppiettante conferenza stampa di presentazione, conclusa con un accorato “Soffro ma sogno”, non è che un pretesto per affrontare una molteplicità di temi: dal rapporto col padre, a Ofelia; ma anche il mondo del lavoro, la civiltà usa e getta; “essere o non essere”, diviene “apparire o non apparire” e, dichiaratamente, “il mercato del teatro, se non hai nuovi testi, ricicla l’usato”. Lo spettacolo è sicuramente la più matura fra le ultime produzioni di Gianfranco Berardi. Armonica la presenza di Gabriella Casolari, compagna di lavoro e di vita, qui nell’umile ma fondamentale ruolo di spalla, quasi servo di scena, che consente a Gianfranco le sue spericolate, pirotecniche esibizioni, incredibili per un artista affetto da cecità – peraltro dichiarata e raccontata nel corso dello spettacolo – ma che lo spettatore neofita è indotto a ritenere una finzione drammaturgica.

Anche La buona educazione, prima assoluta della Piccola Compagnia Dammacco / Teatro di Dionisi conferma il talento di un’attrice di razza: Serena Balivo; già in gonnellino da bimba ne L’inferno e la fanciulla; poi in vesti maschili in Esilio; qui, nel terzo episodio della Trilogia della fine del mondo, è una sprovveduta zitella, maldestramente impegnata nel problematico affido di un nipotino rimasto orfano. Serena sembra, ogni volta, sfidare la sua propria identità di giovane donna, mimetizzandosi in figure di forte impatto teatrale, ma lontane anni luce dai modelli che animano i sogni di tante ragazzine, aspiranti donne di spettacolo, drogate dal piccolo schermo. Anche in questo spettacolo emergono i due temi ricorrenti nel festival: una genitorialità, ancorché straniata e stranita e, sullo sfondo, la presenza invasiva di internet. La vicenda anche qui si direbbe sospesa fra realtà e sogno, tutta nella mente della protagonista. Una sottile ironia pervade i suoi goffi tentativi, disastrosamente falliti, di assumere un ruolo genitoriale ed educativo; complice una scenografia che richiama un magazzino di rigattiere, un bric-à-brac che affastella mobili d’antan, composizioni kitsch e oggetti di ogni tipo, unificati da un gusto per l’horror vacui. Daniele Aureli, autore interprete e regista di Teoria del Cracker (o della vita puttana), della Compagnia Teatrale Occhisulmondo, in un monologo ambizioso nell’assunto, denso di originali suggestioni figurative e drammaturgiche, dà vita a una pluralità di personaggi. L’assenza di scenografia è compensata da una forte intensità attorale, e da efficaci espedienti quali la invadente, farinosa polvere bianca di cui sono intrisi gli abiti, un sapiente utilizzo della luce. Forse non sempre trasparente la fabula, anche per la sua originalità e complessità, che richiede nello spettatore un certo sforzo, ma sicuramente un’operazione teatrale da incoraggiare e sostenere, meritatamente insignita del Premio Sandro Cappelletto.

La rassegna si è conclusa con Overload, di Sotterraneo, un collettivo fiorentino di ricerca costituito da una dozzina d’anni, già presente in passato a Primavera dei teatri. Il tema era l’evoluzione dell’attenzione umana nella società digitale, con l’obiettivo dichiarato di “riprodurre in teatro i meccanismi della infosfera, il sovraccarico di stimoli, la riduzione della soglia di attenzione, le continue associazioni tra cose distanti, in una rincorsa quasi tossica ai contenuti”. Il risultato spettacolare è un oggetto magmatico, ipercinetico, sovrabbondante, ma con un ritmo incalzante; forse con un eccesso di falsi finali, ma sostenuto da una coerente e intelligente progettazione drammaturgica che, a dispetto della pretesa serietà dell’assunto critico nei confronti della dilagante civiltà digitale, risulta irresistibilmente godibile. Col progetto Primavera Kids Scena Verticale ha recuperato, ormai da tre anni, l’antica vocazione didattico-pedagogica del teatro ragazzi. Il diario di Adamo ed Eva, diretto da Dario De Luca, è un’operina delicata e accattivante che, anche grazie anche alla presenza scenica a un tempo tenera e maliziosa della giovane Elisabetta Raimondi Lucchetti, vince la scommessa di raccontare ai bimbi l’eterna guerra dei sessi, ispirata allo spiritoso e – per l’epoca – scandaloso testo di Mark Twain. Originale nell’utilizzo della forma della narrazione coniugata col teatro di figura anche Amore love Psiche, di e con Anna Calarco, con la regia di Gaetano Tramontana.

Nell’impossibilità di riferire su tutti gli spettacoli proposti, mi limito, in chiusura, a un veloce giro d’orizzonte, necessariamente incompleto Generosa, muscolare la prestazione attorale di Michele Maccagno in Eracle, di Teatro di Borgia, che Maurizio Sinisi ha tratto dalla tragedia di Euripide, ricavandone una parabola tragica che, nella sua apparente banalità, partendo da un banale malinteso, conduce alla rovina il protagonista, fino all’omicidio/suicidio, passando attraverso i temi del consumismo, della dipendenza informatica, e di altri feticci della civiltà contemporanea. Stralunate e raggelanti le aforistiche banalità di Quotidiana.com con Episodi di assenza 1. Prima che arrivi l’eternità – scienza vs religione, declinate da un cast ampliato rispetto alle precedetti produzioni della compagnia, anche con intermezzi coreutici. Calcinculo, proposto da Babilonia Teatro è un indiavolato bailamme satirico, una sorta di macabra, gioiosa danza sulle macerie. Spiritosa ma superficiale la riflessione intergenerazionale sui rapporti sentimentali di Intimità, della giovane compagnia Amor vacui. Con Sei. E dunque, perché si fa meraviglia di noi? di Fortebraccio Teatro, Roberto Latini rivisita i Sei personaggi con un raffinato gioco teatrale affidato al promettente PierGiuseppe Di Tanno; ma il senso profondo dell’operazione, pur di indubbio fascino spettacolare, sfugge a chi non abbia una conoscenza puntuale delle implicazioni, anche filosofiche, di quel testo fascinoso e inquietante.

In un panorama così ricco e variegato, c’è da riconoscere che, dopo quasi vent’anni, Primavera dei Teatri ha ancora voglia di crescere.

Claudio Facchinelli
Primavera dei teatri
Nuovi linguaggi della scena contemporanea
Castrovillari 27 maggio / 2 giugno 2018
XIX edizione

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Da Castrovillari, 111, del drammaturgo di origini polacche Tomasz Man

di Letizia Laezza
su network lettera 22

Si chiama progetto Europe connection in collaborazione con fabulamundi ed è il presupposto per comprendere l’interesse peculiare dello spettacolo 111.
La prima va in scena il 30 maggio 2018 nel contesto del festival primavera dei teatri di Castrovillari, dopo una lunga e articolata gestazione della pièce.
Con e per la regia di Emilia Brandi, prende forma un testo di Tomasz Man, drammaturgo di origini polacche.
111 è un racconto di difficoltà ed incomprensioni familiari, esasperate all’estremo dramma irreversibile, ma, per quanto ogni nucleo famiglia possa scegliere a quale livello della tragedia fermarsi, ogni individuo appartenete ad un nucleo famiglia può riconoscere in qualche tratto della storia il proprio disagio del non capire e del non riuscire a farsi capire.
Quattro attori aprono lo spettacolo e restano per tutta la sua durata tendenzialmente ai propri posti: ognuno ingessato nel proprio ruolo, mancante di alcuna flessibilità nello spazio e nelle relazioni; ognuno a guardare le cose unicamente dal proprio angolo di palco.
Strumentale la scelta dei costumi, di Rita Zangari, che presenta l’essenza dei singoli e poi del gruppo già nella fotografia iniziale: la madre, interpretata dalla stessa Emilia Brandi, in vestaglia di un convenzionale rosa tenue; il padre, Ernesto Orrico, in tuta celeste, come è giusto che vestano i maschietti, e la figlia, Ada Roncone, nel tepore dell’accappatoio, nell’intimità della sua casa, delle sue cose, tutte sul tavolo intorno a lei, oggetti di una quotidianità personale che vuole offrire al pubblico, dalla sua posizione erta su di un tavolo a centro palco, dove vive, osserva e domina le azioni banali di una qualsiasi famiglia. Provata dall’incomprensione.
Una qualsiasi famiglia occidentale.
Una qualsiasi famiglia che sbaglia suo malgrado, composta di persone magari non cattive ma che non capiscono cosa fare per fare bene.
Al centro delle relazioni, dalla sua prospettiva, la figlia che filtra la vicenda è il simbolo stesso della mediazione dei complicati rapporti fra i genitori e il figlio, Marco Aiello, scenicamente come semanticamente chiuso nella sua tinozza.
La vittima senza nome, l’irrequieto, l’unico che si muove nella stanza ma che pare in gabbia.
Un ragazzo difficile, eppure un creativo; dagli istinti pericolosamente violenti, eppure capace di sviluppare affetti viscerali; un ragazzo che comunica in una maniera tutta personale ma che non è in grado di farsi capire. Un ragazzo che la famiglia non riesce a comprendere, arginare, gestire: ci prova, si sforza, ma poi si esaspera, e poi si esasperano tutti, e si litiga, si corre, si urla, ci si agita, si piange, e mai si risolve nulla.
Immagine emblematica, come tigre allo zoo, il ragazzo si incastra sotto il tavolo della sorella: cerca una via di fuga, ma gli è difficile, come a tutti gli altri.
Le luci di Antonio Giocondo collaborano efficacemente allo scandirsi dei momenti della vicenda; il ritmo della recitazione segue il flusso del racconto con una metrica incessante, tendente alla claustrofobia. Non si sfugge alle faccende della famiglia. È il ritmo della famiglia. È il ritmo di chi crede di fare le cose buone e le ripete fino allo strenuo, fino all’esaurimento delle forze, dell’altro, dei risultati.
Lo spettacolo vuole essere universale come i topoi che lo attraversano; la comunicazione oltre le parole, nell’analisi dell’umano che appartiene a tutti.
Perché non solo la famiglia media italiana o meridionale possa riconoscere le proprie mancanze e difficoltà, ma perché l’intera famiglia europea si ritrovi in un quadro delle dinamiche della famiglia media, perché lo spettacolo tenda all’universale senza snaturare le origini della sua scrittura; per rispettare questi parametri è venuto su lentamente, si è formato, si è scoperto, si è studiato, in un lavoro che ha goduto della consulenza e supervisione di Katia Ippaso, drammaturga e critica.
Scopo del progetto Europe connection – playwriting Europe quello   di creare una rete, di fare contatto, di mettere in comunicazione e quindi a confronto diverse figure di operatori nell’ambito dello spettacolo da tutta Europa. l’Europa come comunità produce arte in tante singole realtà sconosciute fra loro, il che appare limitante sotto diversi aspetti, a partire da quello dello scambio  reciproco.  Così il festival di Castrovillari si fa sede di proposta ed incontro e accoglie un trio di pièce dalle diverse origini: oltre 111, Confessioni di un masochista di Roman Sikora e Extremophile di Alexandra Badea, in un minicircuito che avvicina arte, pubblico ed artisti.

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L'esordio da regista di Emilia Brandi con lo spettacolo "111"

È tratto da un'opera di Tomasz Man che e vede in scena i talentuosi attori calabresi Marco Aiello, Ernesto Orrico e Ada Roncone

di Arcangelo Badolati
su Gazzetta del sud

Un' attrice capace d' interpretare qualsiasi personaggio: eclettica, affabulante, passionale, intelligente. Una donna cresciuta con la passione del teatro. Una passione che ha coltivato frequentando le compagnie italiane più innovative. Un' attrice che è diventata adesso regista. Un esperimento felicemente riuscito che segna un importante passo in avanti nella cultura teatrale calabrese. Lei si chiama Emilia Brandi e guida una pattuglia di attori nella interpretazione di "111". Si tratta di un' opera di Tomasz Manche che vede sul palco la stessa Brandi insieme con Marco Aiello, Ernesto Orrico e Ada Roncone, tre talenti del mondo attoriale italiano chiamati ad una prova non facile. Già, perché "111" è una tragedia sulla disumanizzazione e la violenza insite in una dimensione familiare, in cui è decisiva, quanto inconsapevole, la mancanza di reale comunicazione e l' incapacità di rispondere in maniera coerente alle reciproche necessità fisiche ed emotive. Attraverso un apparente dialogo tra le quattro figure, si dipinge un quadro piuttosto cupo e chiaramente doloroso, in cui Madre e Padre, in maniera diversa e complementare, contribuiscono con le loro convenzioni, ossessioni e tradizioni ai cortocircuiti esistenziali dei figli. Il punto focale è la vita del Figlio, smarrito tra diversi possibili sviluppi come individuo, e incapace di legarsi convintamente a qualsiasi essere umano, neanche a quelli a lui più prossimi. La sua insofferenza e il suo odio hanno una crescita lenta e inesorabile, che neppure l' apporto emotivo e la parziale comprensione della Sorella sono sufficienti a frenare. Il punto di vista in questa messinscena del testo di Tomasz Man, è quello di chi resta e, con lo sguardo perturbato dalla tragedia, si ritrova confinato in una terra di mezzo tra i pesanti frammenti della memoria e il vuoto del presente. Lo spettacolo curato da Emilia Brandi conta sulle musiche originali di Massimo Palermo ed i costumi di Rita Zangari. "111" è prodotto dall' associazione culturale Zahir e da Primavera dei Teatri, con il sostegno del Teatro Auditorium UniCal (Università della Calabria) e del Comune di Rende. Se volessimo parafrasare Francis Scott Fitzgerald potremmo parlare davvero di una "grande scommessa vinta" dal sempre più creativo teatro calabrese.

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Journal: Tomasz Man in Italy for "111"

su Fabulamundi. Playwriting Europe

Tomasz Man was in Castrovillari for an artistic residence focused on his text “111”, with the Italian company Zahir. On June the text will be presented at the Festival Primavera dei Teatri.

Here we publish the journal of the author about his experience.

My residence in Cosenza was amazing. I met a very professional and prepared team to work with on my play “111”. I was there for a week. Every day there was a rehearsal that took place in the Auditorium theater. The rehearsals were of about four hours. The actors went through the lines of the text reading it both in Italian and English. We checked whether a given word or phrase fit the situation. How does this word work translated into Italian? For example, in Poland, ambers are very common by the sea and can be found on the beach. In Italy, there are no ambers. So we changed with another stone. It was a great experience because, sometimes, living in one culture, we do not realize that there are small things that may be completely incompatible with another culture. I also remember that we were talking about sharing wafer on Christmas Eve. In Poland, this is an eternal tradition that in Italy doesn’t even exist. Always in the play, at a certain point, behind the window at school, the son sees rowans that are not popular in Italy. And so we changed it into an olive tree. In Poland, there was a popular festival in Sopot. In Italy, it is widely unknown. We turned it into the Sanremo Festival. On the last day, the director and actress asked me to lead a workshop on my text. I conducted workshops based on the work of the actor’s imagination with the internal image of the given stage situation. In addition, I led exercises based on changes in rhythm and mood. I played the guitar showing how important it is for the actor’s interpretation of the music and its character, tempo, intensity. With Emilia, Rita, Marco and Ernesto, we have created a real group of people who really want to do something interesting on stage. These are precious occasions for the actors and their training, the chance to work with high sensitivity and curiosity, very friendly and incredibly open which meant that actually after this week I did not feel the language barrier at all because we already communicated without unnecessary words. We spoke English but we’ve learned from our native Polish and Italian languages as well. This is one side of the residence directly related to my text. The other side is about getting to know the theater environment in Cosenza and the work of Scena Verticale. I had the chance to watch great performances, find out how the theater in Italy works and, on the other hand, share my knowledge about Polish theater. Everyone was very hospitable and friendly. I also visited the city and the museum thanks to them. I spent a very intense time working on the text and a great time learning about the Cosenza culture and the surrounding area. I take home with me a great experience and I can’t wait to return to Primavera dei Teatri Festival in Castrovillari. I wanted to thank you for allowing me to go to Cosenza. I feel wiser thanks to this artistic and social experience.