Joe Zangara, L' uomo che sparò a Roosvelt
di Paola Abenavoli
su Hystrio - Trimestrale di teatro e spettacolo
La povertà, l'emigrazione, l'avversione per ogni disuguaglianza sociale ed economica, la voglia di conoscere e vivere, nonostante un male fisico che forse è male interiore. Una vita cercando qualcosa. Quella di Giuseppe Zangara, divenuto Joe quando decide di varcare l'oceano, come aveva fatto il padre, partendo dalla provincia di Reggio Calabria. Quella vita che cambierà quando deciderà di sperare al presidente Roosvelt, che riteneva fosse il simbolo del capitalismo che aborriva. Fu condannato alla sedia elettrica, nel 1933, a 33 anni. Una storia vera che l'attore e regista Ernesto Orrico riporta alla luce, prendendo spunto dal libro di Blaise Picchi, che contiene il memoriale di Zangara. Ma la messa in scena non è volutamente una ricerca filologica, è una storia umana. Orrico, con la sua forza espressiva, diventa l'uomo Zangara. E lo fa costruendo sapientemente un testo che ci porta nel suo percorso tra la provincia italiana d'inizio Novecento e l'America roosveltiana, facendoci entrare nelle atmosfere dell'Italia rurale e della vita dei migranti, grazie anche a un ricercato studio sul linguaggio. E poi la musica: elemento che, con intensità, si interseca alla perfezione con la storia e che, grazie all'intensa performance di Massimo Garritano, trasporta lo spettatore nel viaggio dalla Calabria all'America, con l'utilizzo del bouzouki, che rimanda a sonorità magnogreche, e del dobro, chitarra tipica degli anni Venti, suonata come una lira. Una riuscita sinergica tra musica e interpretazione, che diventano percorso umano.
Mendicino, fulmineo e sinestetico “La mia idea. Memoria di Joe Zangara” di Ernesto Orrico
di Rita Pellicori
su Ottoetrenta
Avete presente quando una storia vi entra dentro e non vuole più uscire? Succede di rimuginare, cercare alternative, soluzioni plausibili e meno dolorose. Questo è quello che si sente dopo aver assistito a “La mia idea. Memoria di Joe Zangara”, lo spettacolo di e con Ernesto Orrico andato in scena ieri sera presso il teatro comunale di Mendicino. Povertà, curiosità, emigrazione, avversione per un governo capitalista, un dolore fisico pari a spine che macinano lo stomaco e l’anima. L’eterna ricerca di qualcosa colora la vita di Giuseppe Zangara, l’uomo originario di Ferruzzano sbarcato negli Stati Uniti per vivere quel sogno americano come avevano fatto il padre e le migliaia di migranti prima di lui. Giuseppe, divenuto Joe negli Stati Uniti, è figlio della povertà, di un padre-padrone che lo riempie di botte e lo considera né più né meno che un animale da soma; una “capo tosta” che impara a leggere una parola al giorno, un uomo che cerca di cambiare il sistema il 15 febbraio del 1933 quando attenta alla vita del presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt. Vittima e carnefice di uno Stato capitalista che assicura il benessere e l’istruzione solo ai ricchi- come più volte ricorda-, la vita di un uomo che avrebbe potuto cambiare la storia si spegne sulla sedia elettrica il 20 marzo del 1933. Ispirato a “L’uomo che avrebbe voluto uccidere FDR” curato da Blaise Picchi, Ernesto Orrico porta in scena una storia dolente, la vita di un uomo alla ricerca di un riscatto e di un amore che sfuggono inesorabilmente e conducono a un esito tragico. Ernesto è discreto, passionale, fulmineo, tesse una trama sinestetica di una lingua italiana ibridata da intercalari americani facendoci entrare nella vita dei migranti e visitare luoghi a noi sconosciuti. joe zangara2Poi c’è la musica, una musica che non stanca e si intreccia in modo perfetto con la storia grazie alla performance di Massimo Garritano. Una perfetta sinergia tra musica e interpretazione che si è guadagnata a pieno titolo lo scrosciante applauso del pubblico. Si può soffrire per quello che è stato? Forse sì.
Face fest, Orrico e Garritano raccontano la storia di Joè Zangara, il calabrese che tentò di uccidere il presidente Roosvelt
di Gabriella Lax
su LAXSTYLE
“Ho sempre sofferto per lo stomaco e per i capitalisti in vita mia”. Dolore fisico che si mescola ad una sorta di ossessivo desiderio di giustizia. La vita di Joè Zangara, immigrato in America dalla Calabria, è l’ultimo lavoro dell’attore cosentino Ernesto Orrico, in scena ieri sera nel parco di Ecolandia al “Face festival” a Reggio Calabria, con “La mia idea. Memoria di Joe Zangara”, e le musiche originali eseguite dal vivo da Massimo Garritano. Una recitazione che si nutre di un linguaggio ibrido, americano, dialetto della provincia reggina, scelto da Orrico senza tante sottigliezze, senza un’indagine specifica ma ciò che legge lo spettatore è la realtà come semplice narrazione dei fatti dall’inizio del secolo fino al 1933. Un memoriale ritrovato alla fine di un libro che racconta la storia vera di Joè, Giuseppe, (“Nato a Ferruzzano, vicino all’Aspromonte, in Italia va”) che perde la madre a soli due anni e cresce con un padre che lo maltratta elo umilia mentre, piuttosto che farlo andare a scuola, lo vuole con sé a lavorare nei campi. E il mal di stomaco che lo accompagnerà nella sua breve vita e tormentata esistenza comincia da quel momento a prendere forma. Un memoriale di cui la fonte non è certa. “Si tratta di un manoscritto ribattuto dagli operatori del carcere in cui Zangara fu rinchiuso prima di essere condannato? Oppure sono dichiarazioni raccolte dal direttore del carcere o uno scritto di Zangara originale?” si interroga l’autore.jo zangara Alla terza recita Orrico porta in scena una narrazione in prima persona, riscrittura e scrittura di pezzi d’invenzione ma che sono coerenti all’originale ed al contesto storico. Da qui i riferimenti all’anarchia e all’anarchismo, al fascismo. Zangara è un uomo semplice, non fa voli pindarici intellettivi, ha imparato a leggere e scrivere da autodidatta, nella vita ha zappato ed ha costruito case. “Un’ossessione contro i potenti, i capitalisti, il governo che non si interessa dei poveri”, coltivata fino all’esasperazione. Il fallimento di una vita occupata a lavorare ed a consumare in fretta i soldi dalle tasche in giro per l’America. Joè ricorda che già in Italia aveva pensato di uccidere il re Vittorio Emanuele (non vi sono in realtà tracce storiche di questo tentativo. L’idea salvifica è fare un attentato contro il presidente degli Stati Uniti Franklyn Delano Roosevelt. Spara Joè ma a morire sarà solo il sindaco di Chicago ed il “premio”per lui sarà la sedia elettrica. Un viaggio variegato dai campi della Calabria, alle industrie di seta di Paterson, fino al caldo torrido di Miami, percorso insieme a bouzuchi e il dobro, strumenti del fedele Garritano. Una sinergia artistica, tra l’attore ed il musicista che, dopo anni, si è concretizzata lo scorso marzo. Un lavoro intenso di dialogo serrato e commento in musica. “Come se ci fosse un altro Zangara – spiega l’autore – che, IMG_7426 copia.jpgattraverso il suono, ripercorre dolore, pensieri e patimenti”. “Una scrittura che rivisita piccoli frammenti di musica americana – aggiunge Garritano (impegnato nella promozione del disco da solista “Present”)– per dare collocazione geografica e temporale. Due strumenti, timbricamente collocabili, uno tipicamente mediterraneo e l’altro tipicamente americano, che sottolineano le due location, Calabria e Stati Uniti”. Ad Ernesto Orrico, ancora una volta, grazie al teatro di narrazione semplice, il merito di avere sollevato la polvere del tempo, di avere ripescato frammenti di storia che portano alla ricostruzione del puzzle di amarezza, difficoltà, sangue e sudore dei calabresi nel mondo. Zangara non realizza il sogno americano e perisce a causa del suo forte disagio esistenziale. Da spettatori ci piace immaginare che, solo allora, forse, il suo terribile mal di pancia abbia smesso di tormentarlo.
Calabria, il teatro è abbandonato a se stesso: ma c'è chi resiste
di Tommaso Chimenti
su Il Fatto Quotidiano.it
La Calabria soffre più di altre regioni del Meridione di “malattie” come abbandono, lontananza, disaffezione, negligenza, disinteresse. Le difficoltà, teatralmente parlando, e la situazione dell’arte e della cultura è cartina di tornasole per riuscire a capire meglio quello che accade anche in altri ambiti, sono rilevanti e riflettono lo stato delle cose, la mancanza di opportunità, di una visione a lungo termine, di una progettazione unitaria, di un’idea difuturo in una regione dove i giovani, anche gli attori, se ne vanno.Qualcuno che tenta, che lotta, che resiste c’è. Dal basso piccoli tentativi fanno capolino, continuando comunque a scontrarsi contro muri di gomma. Che il teatro possa essere comunità e territorio, possa rinsaldare valori e cementare la società civile, anche e soprattutto nei piccoli comuni, è cosa nota. Se parli di Calabria vengono in mente il festival quasi ventennale “Primavera dei Teatri” a Castrovillari e del frontman Saverio La Ruina, Peppino Mazzotta, ma identificato dopo l’esperienza del Commissario Montalbano con la Sicilia, i fratelli Cauteruccio, Giancarlo direttore per trent’anni del Teatro Studio di Scandicci, e Fulvio, attore solido del quale ricordiamo il suo “Roccu u stortu”. Un po’ poco.
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La Calabria rimane “schiacciata” tra le grandi tradizioni napoletana e siciliana, e compressa dal forte rilancio negli ultimi quindici anni della Pugliafelix vendoliana. Soltanto quattro le compagnie finanziate dal Fus: a Cosenza Scena Verticale, 100.000 euro,Rosso Simona, 46.000, e il Teatro dell’Acquario, 92.000, a Reggio Calabria il Ctm con 110.000. Adesso un nuovo bando regionale sta facendo molto discutere e tiene in fibrillazione i teatranti dello Stretto: due milioni di euro divisi in tre categorie, gli eventi storicizzati, il circuito, la cultura del libro. Un bando definito da più parti “protezionista” che impone il 40% degli spettacoli calabresi non rilanciando una crescita ma limitando la visuale al proprio orto.
Fino alla scorsa stagione erano nove le residenze, finanziate da 60 a 100.000 euro l’una: Scena Verticale a Castrovillari (gestisce anche il Teatro Morelli a Cosenza), Linea Sottile a Cassano Ionio, Teatro della Ginestra a San Fili, Rosso Simona a Rende, Scenari Visibili di Lamezia (interessante la recente produzione “Patres”), Officine Teatrali a Soverato, Teatro del Carro a Badolato, Compagnia Dracma a Polistena, Scena Nuda a Reggio. Uno dei problemi può essere l’assenza di scuole (unica quella al Morelli di Scena Verticale), drammaturgiche e attoriali, che “spopolano” la Calabria di potenziali talenti che si spostano a Roma o nelle grandi strutture del nord e senza laboratori la fucina delle compagnie, dei teatri, delle attività s’inaridisce.
Il teatro invece è bisogno, crea dipendenza, consapevolezza, salvaguardia, cultura, lettura, benessere, civiltà. Senza teatro la qualità della vita peggiora. Negli anni ’90 due esperienze di accademie, Palmi e l’Acquario, o i laboratori tenuti da Eugenio Barba per quasi un decennio a Scilla, hanno formato la generazione di attori oggi attivi sul territorio o che se ne sono andati altrove per lavorare sulla scena, insieme all’apertura del primo distaccamento del Dams a Cosenza, dopo quella fortunata di Bologna. Poi è sceso un velo nel quale alcune illuminate situazioni che lavorano con fatica cercano di squarciare isolamento e marginalità.
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Oltre alle già citate, è da salutare l’impegno dei “Coltivatori di Musica”,Paola Scialis e Stefano Cuzzocrea (loro la performance Resistenza Gastrofonica Viaggiante facendo tra teatro di strada e gnocchi, che li avvicina idealmente alle Ariette), che all’interno dell’Ex Convento dei Cappuccini di Belmonte e della chiesetta (dove Brunori ha inciso il suo ultimo album) hanno lanciato la prima edizione del “Primo maggio del Lavoro”. Tra i tre finalisti, dopo selezione su progetto, Gruppo della Creta, Tamara Marino e Scenari d’Aprile, hanno ottenuto la possibilità di una settimana di residenza artistica ad ottobre quelli della Creta con il lavoro “Dante. Le cose oltre il sipario della materia” che indaga su numerologia, cabala, magia ed esoterismo che affiora potente tra gli endecasillabi del Sommo nella Commedia. Molto interessante la mise en espace dell’esperto Ernesto Orrico “La mia idea” (al bouzouki e dobro l’intenso chitarrista Massimo Garritano, è appena uscito il suo cd “Present”), ritratto interiore partecipato di Joe Zangara emigrante calabrese che sparò a Roosevelt, condannato alla sedia elettrica. Un racconto vivido tra italiano, calabrese e slang inglese di strada, anticapitalista, dalla parte degli ultimi e degli sfruttati, una lotta di giustizia e uguaglianza con sullo sfondo il conflitto con un padre autoritario e violento e un mal di stomaco che non se ne vuole andare. Il Primo Maggio a Belmonte ha ricordato gli “scioperi a rovescio” di Danilo Dolci, in cui i disoccupati (in ambito teatrale sono molti quelli che lavorano senza essere pagati) si mettevano al lavoro. Una protesta pacifica. E dolce, appunto. Se lavorare stanca, non lavorare ancora di più.